Ciambò: tra fascino, contraddizioni e un’idea di città che fatica a definirsi

Manfredonia. Ci sono immagini che restano impresse: una lunga tavolata imbandita sul molo di levante, il mare Adriatico come quinta naturale...

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Antimo DJ

9/21/20252 min leggere

Ciambò: tra fascino, contraddizioni e un’idea di città che fatica a definirsi

Manfredonia. Ci sono immagini che restano impresse: una lunga tavolata imbandita sul molo di levante, il mare Adriatico come quinta naturale, le luminarie che accendono l’atmosfera, i profumi della ciambotta fresca, piatto simbolo della nostra tradizione marinara, a mescolarsi con le note della musica dal vivo. Tutto suggestivo, tutto perfetto sulla carta.

Ciambò nasceva come un evento capace di coniugare ristorazione, tradizione e spettacolo. E questo è innegabilmente un merito: valorizzare i ristoratori locali, dare centralità ai pescatori e proporre una formula che in altre città italiane è già attrattore turistico. Un’idea coraggiosa e degna di nota, che testimonia quanto il nostro territorio abbia potenzialità enormi.

Ma se il piatto principale era eccellente, il contorno ha lasciato un retrogusto amaro.
Il manifesto parlava di un evento “senza barriere”, e invece le barriere c’erano eccome. Transenne sul molo di levante per delimitare l’accesso. Solo chi aveva acquistato il ticket da 65 euro poteva sedersi a tavola. Nulla di male, anzi, giustissimo che un evento privato sia organizzato con regole chiare e selettive. Ma perché allora travestirlo da iniziativa pubblica, con il coinvolgimento diretto dell’assessorato comunale?

Qui si apre un nodo politico e culturale. Una cena a pagamento per 500 persone è, di fatto, un evento privato. Legittimo, interessante, ma privato. Che bisogno c’era di confonderlo con il “pubblico”, rischiando di creare una distinzione scomoda tra chi era dentro e chi restava fuori? Per salvare la faccia, negli ultimi giorni, è stato messo in piedi lo street food in piazzale Ferri. Un angolo troppo piccolo e inadeguato rispetto alla portata della comunicazione fatta. Il risultato: i “fortunati” seduti alla grande tavolata e gli “altri” stipati in uno spazio di serie B.

E qui la riflessione si allarga.
Manfredonia non ha più un’amministrazione di centro-sinistra. O meglio, non esiste più quella Sinistra che, almeno nella retorica, parlava di inclusione, di spazi comuni, di socialità aperta a tutti. In questo scenario, paradossalmente, oggi sembra più inclusiva la Destra. E lo dico senza ironia. Perché alla fine la differenza la fa la chiarezza: dire le cose come stanno, senza mascherare ciò che è privato con la patina del “pubblico”.

L’impressione è che si giochi troppo spesso con le parole, con i simboli, con i richiami alla “tradizione” e alla “città unita”, quando poi nei fatti si costruiscono occasioni esclusive, belle ma non per tutti. È come se mancasse una direzione politica netta: non capisco più quale sia la visione, quale il progetto, quale l’idea di città che si vuole costruire.

Io sono per mille, anzi per diecimila eventi. Credo fermamente che Manfredonia abbia bisogno di manifestazioni, di iniziative, di occasioni per mostrarsi e crescere. Ma serve attenzione alle formule: non possiamo confondere il privato con il pubblico, l’esclusivo con l’inclusivo. È una questione di trasparenza e di rispetto verso la cittadinanza.

Ciambò resta, comunque, un’iniziativa da applaudire sul piano enogastronomico. Ma lascia in sospeso una domanda più grande: vogliamo una Manfredonia delle vetrine e delle élite, o una Manfredonia che davvero include, accoglie e rende protagonisti tutti?
Se il futuro sarà fatto solo di eventi a numero chiuso, allora almeno diciamolo chiaramente. Perché la trasparenza, oggi, è forse l’ingrediente più raro.

Antimo DJ

foto di copertina ciambò.it